Ci sono dei testi nella storia dell’umanità che non hanno smesso di far risuonare la loro voce nonostante il tempo che ci separa dalla loro genesi abbia come depositato un sedimento isolante. Ci sono degli autori il cui magistero non è mai venuto meno nonostante il succedersi delle generazioni e diverse condizioni ambientali abbiano occluso la nostra capacità di ascoltarli. Uno di questi testi è certamente L’Arte della Guerra,  ossia Bingfa, e l’autore è Sun Tzu[1].

Non si sa molto sulla vita di Sun Tzu. Maestro Sun, come si direbbe secondo il significato letterale, non sarebbe che l’appellativo di un personaggio di nome Sun Wu, nato nello Stato di Qi ed operante nei territori sudorientali dello Stato di Wu verso la fine del VI secolo a.C.[2] Ad aumentare l’indeterminatezza c’è poi il fatto che non si sa se Sun Tzu abbia scritto direttamente l’opera, in quanto molti dei riferimenti testuali in essa presenti[3] sarebbero da riportare ad un periodo recentiore, vale a dire ad un periodo compreso tra il 400 ed il 320 a.C., cioè al periodo cosiddetto degli Stati Combattenti[4], secondo la datazione proposta dal Griffith[5].

Sima Qian, il grande storico della Cina antica vissuto tra il primo ed il secondo secolo avanti Cristo ed autore delle Memorie Storiche, riferisce un aneddoto a proposito della vita di Sun Wu: in occasione di un’ udienza presso il Sovrano, gli fu chiesto di mettere alla prova la sua abilità di comandante formando un esercito con le dame e le concubine di corte. Poiché i suoi sforzi per disciplinare una simile truppa non portavano ad alcun risultato e gli ordini non causavano che ilarità, Sun Wu comandò di decapitare le donne che svolgevano il ruolo di ufficiali. Il Sovrano teneva molto alle sue donne e desiderava che fossero risparmiate, ma Sun Wu fu irremovibile e replicò che il Comandante in campo non era tenuto ad obbedire ai suoi ordini. Procedette quindi alla esecuzione delle ribelli e poi si congedò presentando al Sovrano un esercito a questo punto perfettamente addestrato e pronto alla battaglia. Sun Wu, allontanandosi, commentò con disprezzo  il dolore del Sovrano dicendo che il suo Signore  preferiva le parole ai fatti[6]. Richiamato, il Maestro fu poi nominato Generale comandante e sconfisse gli stati di Chu, Qi e Jin acquistando grande reputazione.

Reale od immaginario che sia codesto episodio - difficile, infatti, pensare che un umile funzionario abbia potuto permettersi di trattare un Sovrano con tanta supponenza -  ci pare utile considerarlo, come lo storico Sima Qian, indizio dell’importanza del testo e di una teoria che ha prodotto una grande influenza nelle generazioni a venire. Infatti, fin dall’inizio, l’opera ebbe l’intento di fornire un manuale pratico ad uso degli ambienti militari e diplomatici di corte, e la sua circolazione avvenne per vie riservate e attraverso variabili testuali che interpretarono il testo e lo rimaneggiarono in modo che la stessa idea di un autografo de L’Arte della Guerra pare difficile da considerare[7]. Ad ogni modo, la tradizione del testo, anche dopo una recente scoperta archeologica (1972) avvenuta in una tomba della dinastia Han[8], pare essersi attestata su un dettato che possiede una certa compattezza stilistica, e anche una certa coerenza concettuale, la quale, per altro, non è poi troppo dissimile dalla versione del sinologo inglese Lionel Giles nel 1910 che qui, tradotta, presentiamo.

 

Nel lavoro di Maestro Sun confluisce un patrimonio di esperienze storiche, politiche e militari che addirittura si può far risalire alla leggendaria Dinastia Hsia regnante sul territorio cinese tra il 2000 a. C. ed il 1520 a.C. così come un’intera tradizione culturale che ha nel Taoismo e nel Confucianesimo i suoi affluenti più direttamente verificabili. Se le coordinate temporali indicate dal Griffith sono corrette, con il Bingfa ci troviamo nel periodo degli Stati Combattenti, tra il 453 a.C. ed il 221 a.C., cioè il periodo successivo a quello delle Primavere e degli Autunni, 722 a. C.- 418 a.C., che ha visto all’opera, appunto, Lao Tzu, autore del Tao Tě Ching[9], e Kongfuzi[10], noto in occidente come Confucio, per non dimenticare un libro di “divinazione” di epoca Shang, lo Yijing, meglio conosciuto come I King, Libro dei mutamenti, che lo stesso Confucio dichiarava di non stancarsi di studiare[11]. La Cina è smembrata in una serie di Chan-Kuo, di Stati Combattenti.
La scena politica del periodo vide un consolidamento del potere centrale dei sovrani di Chou i quali cominciarono a fare sempre più affidamento su esperti di professione per realizzare le loro mire di unificazione. In questo contesto, probabilmente, crebbe l’esperienza e la fama di Maestro Sun che, si dice, ascese ai più alti gradi della classe militare pur essendo di umili origini. I maestri insegnavano ai loro discepoli le arti del governo, della strategia e della diplomazia, mentre le rivalità tra gli stati si intensificavano. Il sistema della coscrizione militare obbligatoria divenne pratica comune e, dal V sec. a.C., avvenne un importante cambiamento nel modo di combattere le battaglie con l’uso della cavalleria. Nonostante l’intensificarsi delle rivalità, il periodo degli Stati Combattenti conobbe una relativa progressione economica e ciò sarebbe confermato anche da recenti scoperte di monete in bronzo, opera del conio di tutti e sette gli stati maggiori[12].

 

Conviene a questo punto scorrere i capitoli dell’Arte della Guerra in modo da delinearne una idea panoramica come introduzione alla lettura; dopo di che ci rivolgeremo alle possibili fonti e, di conseguenza, alle possibili influenze del testo, la cui traccia sembra aver lasciato un segno nella memoria degli scrittori e dei pensatori successivi. Resta inteso che l’atto del leggere è come la messa in scena di un’opera di cui siamo al contempo registi, interpreti e spettatori e, pertanto, non c’è commento che possa eguagliare la bellezza spirituale di un’esecuzione nell’eventualità creatrice e contemplativa del soggetto.

Il primo capitolo concerne le valutazioni di base relative ai piani strategici, cioè la conoscenza approfondita della strategia globale, i fondamenti entro cui si esplica l’azione bellica. La guerra è di vitale importanza per lo Stato e bisogna prepararsi ad essa in modo rigoroso. I fondamenti della guerra sono nel Tao, la Via; nel Cielo, il fattore climatico, atmosferico; nella Terra, il fattore morfologico; nel Comando e nella Dottrina, cioè, in primo luogo, nella virtù della conoscenza e della capacità di  valutazione di colui che svolge le funzioni di Comandante; poi la corretta comprensione dei problemi pratici e logistici che ogni azione comporta. Il Generale è un uomo saggio e possiede la virtù dell’attenzione, dell’ascolto[13]. Quindi due concetti molto importanti: la condotta della guerra si fonda sempre sull’inganno e sulla dissimulazione[14]. Per vincere occorre fare considerazioni molto approfondite: è un “gioco” che coinvolge la vita dell’individuo, di una comunità e la poca riflessione porta alla sconfitta. Bisogna andare oltre ogni ingenua considerazione moralistica nelle faccende della guerra; la considerazione della divisione tra morale e politica di machiavellica memoria pare ricongiungersi su questa traccia.

Con il secondo capitolo entriamo in medias res: cosa significa combattere la guerra, quali sono i costi delle operazioni belliche? Una guerra prolungata è dannosa per lo Stato, per il popolo, per il Comandante; forze incontrollate, forse loschi intrighi di corte che Giles definisce deamons, ma il cui significato pare, se possibile, più ampio, potrebbero inserirsi nel conflitto a far fallire i nostri piani. Il conflitto, pertanto, deve svolgersi rapidamente[15]. Anche perché i costi di un conflitto protratto a lungo non sono solo di carattere sociale, economico, politico, ma anche di ordine psicologico. C’è una sorta di logorio della guerra per il quale urgono prevenzioni psicologiche, sostegni, incitamenti, ricompense. Per quanto riguarda la logistica, un altro concetto importante: le vettovaglie devono essere reperite nel territorio nemico[16].

Il terzo capitolo riguarda la strategia d’attacco. Quali sono gli obiettivi dello stratega? In primo luogo importa vanificare i piani del nemico, poi comprometterne le alleanze, quindi catturarne le forze. Ma la vera abilità dello stratega consiste nel piegare le forze avversarie senza combattere, quasi senza dispiego di energia, senza assalti, senza lunghe spedizioni militari. Qui risiede il genio della strategia offensiva, qui l’umano sublima se stesso[17], si può forse dire. Non bisogna perdere tempo in inutili assedi di città fortificate, ma piuttosto vanificare i piani del nemico, capirne la strategia per annullarne gli effetti. In questo senso il Generale è un pilastro dello Stato perché sa quando è il momento di combattere, sa valutare la forza dell’avversario, sa leggere dentro e fuori i segni lasciati dalla realtà effettuale, direbbero Machiavelli e Guicciardini[18]. Infine in guerra, come in ogni altro campo dell’esperienza, è sempre necessaria l’autovalutazione: conosci te stesso, conosci il nemico - il motto socratico è coevo.

Il quarto capitolo tratta le disposizioni tattiche. Il Generale eccellente vince le battaglie senza commettere errori[19]; egli sa valutare i livelli di forza adeguati al terreno in cui opera: la vittoria, allora, si fonda sulla sua capacità di compiere comparazioni, di misurare le potenzialità che ci consentono di non lasciarci sfuggire l’attimo decisivo per battere il nemico. In un certo senso si può dire che la vittoria è avvenuta ancor prima di combattere la battaglia per l’abile Generale; come per Michelangelo, ci si consenta uno spericolato paragone, in cui la bellezza preesiste alla sua realizzazione ed il genio non deve fare altro che liberarla dai vincoli che la imprigionano. Qui, forse, si esalta la potenza assoluta della lucidità razionale, della mente apollinea.

Il quinto capitolo considera il tema dell’uso della forza, dell’energia. La forza va dosata, modulata. Est modus in rebus. Il successo risiede nella capacità di controllare le proprie forze, nell’efficace comando delle truppe. In ogni battaglia c’è un  metodo diretto, una pratica ortodossa, per così dire, e una non ortodossa, ossia un metodo indiretto, e, per giungere alla vittoria, sono entrambi necessari e si rinviano l’un l’altro. Non c’è un metodo univoco, ma una molteplicità di configurazioni, una combinazione di campi energetici che si combinano quasi in un gioco di opposti. Un altro tema è quello della simulazione: mascherare la forza con la debolezza, il coraggio sotto l’apparenza del timore. Saper usare l’energia, saperla suscitare in noi, nei nostri uomini, saper proiettare forme.

Il sesto capitolo concerne i punti di forza e i punti di debolezza nella pratica bellica. L’obiettivo è costringere l’avversario a far ciò che si desidera e non il contrario. Il problema della forza e della debolezza, del vuoto e del pieno è un nucleo centrale della riflessione antropologica[20] come della concezione dello Yin e dello Yang nel pensiero taoista. Nel nostro caso ne saggiamo i percorsi e le applicazioni strategiche come quando si parla dell’effetto sorpresa o della necessità della segretezza nell’operare vittorioso. Non bisogna far saper il luogo dove si incentrerà la battaglia, così da opporre una forza compatta che sia in grado di indebolire e dividere una avversaria[21]. Un punto molto importante è anche quando si parla del principio di adattamento alle condizioni del campo, cioè dell’avversario. Il condottiero divino è un condottiero in ascolto, per parafrasare il titolo di un celebre racconto di Italo Calvino[22], capace di scrutinare ogni atto del nemico e rispondere nel modo migliore, svelto a variare la propria strategia con il variare delle circostanze. Flessibilità invece di rigidezza operativa: siamo nel campo del management, ma il capitolo offre spunti di meditazione molto ampi su cui si sono esercitati miriadi di commentatori[23].

Il capitolo settimo affronta il tema la manovra, lo scontro armato, il combattimento. Il tema centrale è certamente quello in cui si parla dell’addestramento, della rigorosa disciplina per far si che il comandante abbia il perfetto controllo del suo strumento. Per attuare ogni artificio e mutare in diritto ciò che è tortuoso, in vantaggio ciò che non lo è, il generale ha bisogno di poter disporre perfettamente dell’armata. Come si manovra di notte, come si trasmettono gli ordini, come si comporta il soldato nelle diverse ore del giorno? E il problema degli equipaggiamenti, delle provviste per un’armata che marcia cinquanta miglia al giorno per avere la meglio sull’antagonista? C’è poi, di nuovo, il problema capitale della guerra come inganno che ha fatto accendere tanti inutili moralismi nei glossatori e, a chiudere, quello del concedere una via d’uscita all’avversario disperato[24], un tema fondamentale di tutti gli scritti militari.

Il capitolo otto riguarda le nove variabili. L’arte della guerra è anche arte computazionale, che scaturisce dal calcolo e dalla corretta valutazione. Qui il suggerimento è di valutare attentamente il campo di battaglia e di attuare manovre difensive che evitino effetti di sorpresa. Il rischio è commettere errori che possano compromettere il buon esito finale. Si vis pacem para bellum. Per far ciò, come si dirà più ampiamente nel capitolo finale, è necessario, attraverso le spie, avere una mappa del territorio nemico, bisogna fare previsioni sui pro ed i contro[25] che possono derivare dalla nostra azione. Inoltre un comandante è soggetto a cinque vizi capitali: avventatezza, codardia, irascibilità, eccessivo senso dell’onore, un’eccessiva sollecitudine per gli uomini: nella direzione opposta sta la virtù antica. Un’ utile riflessione per noi moderni, (ed a Roma, ad esempio, lo faranno le generazioni a partire da Catone o Tito Livio) su cosa si intendeva per virtù nel tempo antico.

Il capitolo nove ha per tema il movimento delle truppe. Insieme di precetti operativi che hanno tutto il sapore dell’esperienza, qui l’insegnamento si volge alla pratica militare concreta, alla mente esperta di cose di guerra. Come ci si comporta col sovrano, come coi soldati? Le informazioni, il dato reale, l’esperienza devono essere processati attentamente, vagliati con cura. Non basta la forza per ottenere una vittoria perchè in gioco ci sono anche altre variabili, come sapevano molto bene anche i nostri Machiavelli e Guicciardini che operavano nella mutevole Italia del primo cinquecento.

Il capitolo decimo si sofferma sulle configurazioni del terreno. Pare che Sun Tzu, tra i tecnici militari, sia stato il primo a prendere in considerazione le configurazioni del terreno[26]. In realtà qui le applicazioni sono aperte anche ad altri campi dell’esperienza umana ed i teatri operativi sono anche i teatri della vita di ogni giorno con le sue difficoltà, i suoi antagonismi. Dove siamo quando ci troviamo su un terreno insidioso e come dovremmo rispondere? Di qui l’ammonizione all’unità, alla unificazione delle forze che è capace di realizzare il capitano virtuoso. Non prendere decisioni azzardate in una situazione offuscata dalla emotività. Conoscere se stessi, conoscere il nemico, conoscere le condizioni atmosferiche, il teatro delle operazioni. La conoscenza è la via della virtù, il sapere uno degli elementi determinanti della vittoria.

Il capitolo undicesimo passa in rassegna i nove tipi di terreno. Si tratta del capitolo più lungo di tutto il libro ed in esso si entra nel dettaglio delle varie determinazioni topografiche introdotte anche nei capitoli precedenti. Inoltre un riferimento molto importante è alla situazione psicologica dell’esercito che si trova su un terreno nemico. Secondo Sun Tzu gli uomini, nei casi di estremo pericolo, tendono a dare il meglio di sé. Quale attento osservatore della natura umana, egli sembra quasi voler suggerire che ci si dovrebbe sempre trovare in queste condizioni estreme per dare il massimo. Infine le principali tipologie della guerra in movimento, di un esercito in marcia: velocità[27], imprevedibilità, attaccare il nemico dove si dimostra più debole, uso di trucchi, inganni, e, attraverso le spie, neutralizzazione dei piani del nemico.

Il capitolo dodici riguarda l’uso del fuoco negli attacchi. Lungo tutto il corso della storia umana il fuoco è stato uno dei principali mezzi offensivi militari. Sun Tzu evidenza gli aspetti più importanti della strategia incendiaria, ma noi, anche se sarebbe impensabile per la nostra epoca un pericolo del genere, possiamo trarne un utile insegnamento immaginando gli effetti incontrollabili che una minaccia subdola come quella del fuoco rischierebbe di provocare o di fatto provoca oggi. Come comportarsi nel caso di una minaccia collettiva? L’uso della bomba atomica come strumento di minaccia o di dissuasione è un tema molto “scottante” e doloroso per il mondo. Infine il tema dello sfruttamento immediato della vittoria al fine di evitare la riorganizzazione del nemico.

L’ultimo capitolo focalizza il suo obiettivo nell’uso delle spie. L’Arte della Guerra dovrebbe essere il primo manuale che abbia affrontato con così acuta attenzione l’argomento dell’impiego dello spionaggio a fini bellici. Si tratta del cosiddetto metodo indiretto, cioè non condotto alla luce del giorno, secondo i canoni della avanzata militare, ma attraverso, appunto, un intenso lavoro di intelligence che attui il principio della neutralizzazione del nemico ed eviti ogni superfluo dispendio energetico. Al giorno d’oggi le guerre si combattono preferibilmente su questo terreno e le sue applicazioni sono certamente all’opera anche nel campo delle strategie economiche e industriali. L’impiego delle spie deve essere necessariamente svolto anche per una sorta di economicità dei fini. Non si deve dimenticare che le guerre hanno sempre un costo assai elevato che coinvolge un intero Stato. Se il nostro obiettivo è conoscere i piani del nemico per annientarli, e si risparmiano sostanze se si pagano individui che codeste informazioni sono in grado di procurarle[28]. Le spie sono di diverse tipologie e per controllarle sono richiesti uomini di talento. Le migliori, sostiene Sun Tzu, sono le cosiddette doppiogiochiste, ed occorre una certa spietata determinazione quando, assolto il nostro obiettivo, sia  necessario eliminarle. In fine lo spionaggio non è solo uno strumento passivo di raccolta di informazioni, ma anche un mezzo di dissimulazione, un modo per far credere qualcosa di falso. Una conclusione che esalta la sottigliezza mentale, la bellezza di una intelligenza umana che non è mai fine a se stessa, ma al servizio dello Stato, per la difesa della identità e del suo libero sviluppo collettivo.

 

L’Arte della Guerra, dicevamo, risente dell’influenza di diverse tradizioni. È sempre molto difficile dire quanto ci sia nell’opera di un autore che possa venire riferito all’opera di un altro[29]; a maggior ragione se dietro il cartello di un nome come quello di Sun Tzu sembra confluire una pluralità di esperienze collettive. A nostro avviso, comunque, sono tre i possibili quadri di riferimento del suo dettato. L’ I King, ossia il Libro dei Mutamenti, il Tao Tė Ching. Ossia il Libro della Via e della Virtù e l’opera di Confucio. Il primo testo risale all’epoca Shang, quasi di un millennio precedente, un tempo in cui si praticava la divinazione, l’I King è un testo di divinazione, ma anche un periodo in cui si praticava il culto degli antenati nel contesto di cerimonie associate al circolo del Re. Del Libro dei Mutamenti è direttamente osservabile il modo di agire del Comandante regolato sulla infinita varietà delle circostanze, sulla opportunità offerta dall’occasione lasciata cadere dal nemico in un momento di smarrimento. Per dirla in termini junghiani[30], l’opportunità è una porta, un kairos, una apertura, attraverso la quale un Dio, l’augenblick got tedesco, noi diremmo un demone, opera una specie di trasformazione, sovvertendo un ordine che sembrava consolidato, attuando un cambiamento, una mutazione che sembrava impossibile. Chi ha fatto esperienza di questo testo ha avuto l’impressione, svolgendo i propri quesiti, di trovarsi di fronte ad un essere reale, concreto, perfettamente in grado di rispondere alla nostra richiesta. Oltre ogni possibile suggestione l’I King è come uno specchio dove è possibile conoscere meglio se stessi, dove è possibile fare esperienza delle più remote province della nostra mente, dei più reconditi spazi della immaginazione ed in tal modo abbracciare o ricongiungersi con le istanze più autentiche dell’operare per il presente ed il futuro, proprio come l’abile comandante di Sun Tzu.

Il Taoismo ha due testi chiave: uno è il Tao Tė Ching o Libro della Via e della Virtù attribuito a Lao Tzu ed il Zhuangzi l’opera di un uomo con lo stesso nome riferibile ad un periodo posteriore al nostro, cioè 369- 286 a.C.. Tutte le cose dell’universo funzionano in accordo col Tao, o Via, e tutte le cose derivano dall’accordo di due forze complementari, lo Yin e lo Yang. Lo Yang è denotato simbolicamente dal sole, l’energia maschile, mentre lo Yin dalla Luna, il principio femminile. Il comandante di Sun Tzu è come il saggio ideale taoista: è colui che ha compreso il significato della Via e “la Via del Cielo è di non lottare, e nondimeno saper vincere, di non parlare, e nondimeno di saper rispondere, di non chiamare, e nondimeno far accorrere; di esser lenti, e nondimeno saper fare progetti.”[31]. Il compito del Sovrano è quello di evitare di fare qualsiasi cosa che possa sconvolgere l’ordine naturale e la parola chiave in questo grande testo è proprio wuwei, la non azione. Innocenza e semplicità: dalla conoscenza degli opposti, dei contrari una grande lezione. Dal punto di vista dell’andamento argomentativo siamo vicini all’Arte della Guerra, come del resto all’insegnamento di Confucio ricostruito dai suoi discepoli. Infatti anche in Confucio, le cui date tradizionali sono il 551-479 a.C., c’è l’idea che gli uomini sono buoni per natura, ma non nella vita pratica. Inoltre, con lui ritorna la lezione del culto dello studio, la pratica dell’attenzione ed il rispetto degli antichi. “Studiate come se la conoscenza fosse irraggiungibile e temeste di perderla[32]”. La saggezza confuciana è nella pratica delle cinque virtù: la benevolenza, la rettitudine della mente, il decoro del contegno, la conoscenza o illuminazione e la buona fede. Questo è anche il ritratto dell’abile comandante di Sun Tzu.

 

La “fortuna”, per dirla in termini crociani, di un testo come l’Arte della Guerra fu subito buonissima a cominciare da Sun Pin[33], un epigono che in certe tradizioni viene confuso con lo stesso Sun Tzu, o il Signore di Shang[34], un ufficiale del sovrano Qin operante attorno al 360 a.C. autore di un libro che risente dell’influsso del nostro e della scuola legista. Se si percorre il flusso del tempo fino ai giorni nostri le problematiche della sapienza militare indicate da Sun Tzu possiamo trovarle nella sapienza greca. La stessa parola strategia (o stratega), che indica un modo precipuo di guerreggiare, e che è sconosciuta a Roma, è parto del pensiero greco, evidentemente influenzato dall’oriente. A cominciare da Tucidide, per non dire di Tito Livio, i riferimenti sarebbero innumeri. Da parte nostra non abbiamo voluto mancare di notare le diverse convergenze del testo cinese con l’Arte della Guerra di Machiavelli[35]. Non è solo una somiglianza di titoli, è molto di più. Forse si può proprio dire che le idee abbiano una vita autonoma rispetto agli uomini che le incarnano e che attraversino gli spazi ed il tempo indifferenti alle modalità normali con le quali di solito gli uomini comunicano. In forma di dialogo tra Fabrizio Colonna, Cosimo Rucellai, Zenobi Buondelmonte, Luigi Alemanni e Batista della Palla, il testo machiavellico è sintonizzato sull’onda di Sun Tzu. “La vita civile sarebbe vana se non fosse difesa dalle armi” è un inizio simile perché fa della guerra un problema centrale della politica e della vita di uno Stato. Poi l’imitazione della virtù degli antichi, l’attenzione alla verità effettuale e concreta per sfruttarne tutte le occasioni offerte dalla debolezza del nemico. Se la fortuna governa ogni cosa, bisogna cercare di signoreggiarla, non farsi signoreggiare. Come Sun Tzu, Machiavelli descrive la strategia nella pratica dell’agire, e prende esempi dagli scrittori antichi come modelli di eccellenza a cui richiamarsi. “Colui che sarà in guerra più vigilante a osservare i disegni del nemico e più durerà fatica ad esercitare il suo esercito, in minori pericoli incorrerà, e poi potrà sperare nella vittoria.”[36].

Clausewitz [37] sostiene che la guerra non è altro che una continuazione della politica e si richiama, nel suo trattato, all’opera di Sun Tzu, anche se, a differenza di questi, ha un’idea della vittoria mirante a provocare le maggiori perdite materiali e morali possibili nel nemico. Siamo ormai nella visione moderna del guerreggiare, tesa all’annientamento totale dell’avversario, al logoramento e all’esaurimento delle riserve; ormai la lettura delle nuvole di polvere sollevate dall’esercito in marcia o l’osservazione del volo degli uccelli per prevenire le imboscate lasciano il posto ai mezzi tecnici sofisticati, alle armi di distruzione di massa. Con Mao Tze Dong, Lin Piao, col generale Giap, Sun Tzu è ritornato nei discorsi dei generali e degli strateghi in cerca del giusto modo per condurre un’efficace operazione militare a segno che il suo carattere pedagogico non avrà mai fine.

 

 

Come epilogo non si può non notare che, da un punto di vista cronologico, Sun Tzu e l’Arte della Guerra sono coevi, pur con le dovute precisazioni, di altri grandi menti e di grandi opere della storia mondiale. Nell’arco di un paio di secoli, infatti, operano grandi intelletti come Lao Tzu, Confucio, Buddha, Eraclito di Efeso, Socrate, Platone, Aristotele e tutti sono noti per il carattere sistematico della loro dottrina, per una pretesa universalità razionale che almeno fino alla rivoluzione galileiana non ebbe innovatori paragonabili nel nostro percorso culturale. Emanuele Severino lo considera un periodo cruciale della nostra storia perché è forse questo il momento in cui si afferma la pretesa di fermare l’angoscia del divenire, del male, della morte, attraverso la potenza del logos[38]. Per dirla in altri termini, con lo Jaspers di Origine e Senso della Storia[39], cominciò quella lotta della razionalità contro il mito inteso come superstizione che è, forse, l’attributo precipuo che contraddistingue l’umano rispetto alle altre specie. Il testo di Sun Tzu detiene una specie di forza poietica in quanto delinea i confini della pensabilità intorno all’argomento della guerra  e questa forza la proietta nell’universo simbolico del ragionare umano. Senza timore di aggiungere enfasi al nostro discorso possiamo dire che il testo di Sun Tzu attinge al piano azzurrino dell’universale, del poliversatile, nel senso che non trova un riscontro applicativo univoco, una modalità di lettura monodica, ma può essere declinato nelle diverse accidentalità in cui il suo senso si riflette. Basta scorrere le bibliografie elettroniche o i cataloghi cartacei relativi ad esso per notare la molteplicità dei piani di lettura a cui esso è stato riferito. Lo troviamo caposaldo incomparabile delle moderne tecniche di management, ma anche possibile chiave di lettura dei movimenti politici e diplomatici internazionali. A nostro avviso, l’Arte della Guerra non è soltanto un testo di strategia militare di vitale importanza per lo Stato, ma può considerarsi un vero e proprio trattato di antropologia che individua parecchi dei tratti caratteristici del comportamento umano visti secondo la modalità del guerreggiare.

Il celebre frammento 53 di Eraclito recita: Pólemos è padre di tutte le cose, di tutte re; e gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi.[40] “. Dunque il pólemos, la guerra, è un piano caratteristico non solo dell’umano, ma anche della realtà fisica, delle cose. Se è così, allora possiamo leggere l’Arte della Guerra di Sun Tzu come una epistemologia per quella sua capacità di costituirsi serrato scandaglio attorno alle nostre idee di verità, attorno alla verità pervadente della phisis, della natura, intesa, vuoi come natura umana, sostanza psichica, vuoi come natura fisica, realtà oggettiva della materia, da interpretare, appunto, come guerra. In sostanza la realtà non è solo un guazzabuglio di metafore, di piani immaginali che si intersecano oltre i confini soggettivi di spazio e di tempo, ma anche una modalità del guerreggiare che, partendo dal piano infinitesimale della materia, pervade la dimensione dell’umano, come quella del sovrumano[41]. Insomma nell’Arte della Guerra il piano del Pólemos diventa metafora esplicativa della realtà, una metafora che si rifrange nella infinità dei mondi possibili di bruniana memoria ed i cui rivolgimenti, ad esempio, possiamo trovare nell’ambito del pensiero biologico con la” struggle for life”[42] di Darwin.  Certo, non sono concetti nuovissimi e proposte di lettura in questo senso risalgono, appunto, a quel periodo capitale nella storia delle idee cui abbiamo accennato, ma noi crediamo che oggi essi possano essere riaggiornati perché riattuallizzano la lettura di un testo come il Bingfa in direzioni inaspettate ed affascinanti, perché sanno cogliere la sua problematicità enigmatica, la sua polivalenza pensierosa anche se intessuta su uno stile gnomico ed epigrammatico.

 

 

                                                                      

                                                                                  Mauro Conti

 

 

 

 

[1] Conviene subito notare che la trascrizione corretta del nome Sun Tzu, cioè la sua trascrizione fonetica secondo il sistema pinyin ufficialmente in uso nella Repubblica Popolare Cinese, sarebbe Sun Zi. Ovviamente continueremo a riferirci alla dizione tràdita Sun Tzu, la quale si riferisce al sistema di trascrizione Wade-Giles, celebri autori di un dizionario inglese-cinese, in quanto più familiare al pubblico italiano.

[2] A questo riguardo ci son notizie relative alla sua sepoltura nella capitale di Qi dove egli fu ospite del Sovrano ma anche riferimenti bibliografici alla sua opera come autore di opere di carattere militare.

[3] Ampiezza delle armate e loro organizzazione; i riferimenti alla teoria dei cinque elementi; l’assenza di riferimenti alla cavalleria il cui impiego in guerra avverrà più tardi verso il 320 a.C.: questo per quanto riguarda i riferimenti storici diretti, ma ben più evidenti sono i riferimenti concettuali al pensiero confuciano o di Lao Tze a cui accenneremo.

[4] 450-221 a.C.

[5] Samuel Griffith, Sun Tzu. The art of war. Oxford University Press, Oxford 1963

[6] Alcune edizioni italiane del Bingfa riportano questo testo in appendice.

[7] Ci fu addirittura chi, come lo storico dell’epoca Song Ye Shi, mise in dubbio che lo stesso Sun Zi  fosse mai esistito. La cosa può forse ricordare la vexata quaestio filologica sulla identità di Omero.

[8] I cosiddetti listelli di Yinqueshan nella provincia dello Shantung.

[9] Lao Tzu, Tao Te Ching, Il Libro della Via e della Virtù, Milano Adelphi 1973

[10] Confucio, I Dialoghi, Milano 1975 con una bella introduzione di Pietro Citati

[11] Questo testo ha avuto una notevole fortuna anche nel novecento ad opera soprattutto di Carl Gustav Jung per il quale fece una celebre prefazione all’edizione tedesca curata da Richard Wilhelm. L’edizione italiana è del 1950 presso l’editore Astrolabio all’interno di una collana curata dal più celebre e compianto degli junghiani italiani, Ernest Bernhard.

[12] Una recente e bellissima mostra a Treviso documenta il commercio di abiti di porpora e la produzione di spade, alabarde ed armi di ferro relative a questo periodo, insieme a molto altro: La via della seta e la civiltà cinese. La Nascita del Celeste Impero. Treviso, Casa dei Carraresi, 22 ottobre 2005-30 aprile 2006

[13] Come non notare l’importanza filosofica di questa affermazione sulla quale, evidentemente, converge una tradizione di pensiero sia cinese, taoista e confuciano, che indiana con il Gautama Buddha.

[14] Forse la Metis, cioè l’intelligenza astuta di Odisseo secondo l’insegnamento di J. P. Vernant, può essere accostata a questa riflessione.

[15] I famosi blitzkrieg hitleriani, le guerre lampo.

[16] Alcuni sostengono che tra le cause della sconfitta della Grande Armata napoleonica su territorio russo ci fosse il fatto che i russi si ritirarono facendo terra bruciata dietro di sé, impedendo in questo modo ai francesi di rifornirsi sul luogo. Questo aspetto è molto ben sottolineato anche nel trattato del Clausewitz.

[17] Le tecniche della meditazione orientale si iscrivono in questo pensiero quando tentano di soggiogare, di legare le energie negative interiori; ed anche le attività del setting psicologico analitico come il transfer, ad esempio.

[18] Francesco Guicciardini, La storia d’Italia. Milano 1988

[19] Anche Tucidide dirà che” l’utile si accompagna con colui che meno errori commette” e lo stesso, in diversi luoghi, ribadirà Machiavelli. Si trattava di un topos della sapienza militare antica.

[20] Nell’opera di Claude Levì Strauss e della riflessione antropologica strutturalista, ma anche nella filosofia taoista.

[21] La storia militare ci mostra che in quest’arte fu maestro Napoleone

[22] Italo Calvino, Un Re in ascolto. Einaudi

[23] A cominciare dagli antichi, in tutto 11 da Ts’ao Ts’ao a Chang Yu, citati da Giles nella sua edizione del 1910.

[24] A questo riguardo si è sostenuto, ad esempio, che le dure condizioni cui fu sottoposta la Germania dopo la sconfitta nel primo conflitto mondiale furono all’origine della nascita del nazismo.

[25] In questa direzione vanno i sondaggi di ogni tipo impiegati in ogni strategia di marketing come strumento fondamentale per la comprensione delle esigenze, osservabili o meno, del consumatore.

[26] Se ci si consente un’astrazione, si potrebbe dire che, su un piano temporale, l’uomo prende consapevolezza della sostanziale storicità di ogni evento.

[27] Il veni, vidi, vici, cesariano.

[28] Per parafrasare il titolo di un celebre romanzo di Graham Greene, qui si misura l’importanza del fattore umano.

[29] Uno scrittore non scrive, evidentemente, soltanto in ossequio ai suoi maggiori ma anche in risposta ad un presente e, perché no, ad un futuro del quale auspica la realizzazione.

[30] James Hillman, Saggi sul Puer. Milano Adelphi

[31] Tao Tè Ching, LXXIII

[32] Confucio, Dialoghi. Milano, Bur p. 112

[33] Sun Tzu, Sun Pin, L’Arte della Guerra. Vicenza, Neri Pozza editore 2005

[34] Il Libro del Signore di Shang. Milano, Adelphi 1989

[35] Nicolò Machiavelli, L’Arte della Guerra. Firenze, Sansoni 1971

 

[36] Op. cit. p. 180

[37] Clausewitz, Della guerra. Milano, Mondadori 1970

[38] La filosofia Antica. Milano, 1985

[39] Edizioni Comunità. Milano, 1965

[40]Eraclito, Fr. 53, edizione Diels-Kranz

[41] In realtà le dimensioni della materia, stando alle teorie fisiche più recenti, non sarebbero solo le canoniche cui accenna il nostro discorso.

[42] Letteralmente: lotta per l’esistenza, uno dei concetti fondamentali de L’Origine della Specie di Darwin.